The great biodiversity of Italian grapes, wines and terroirs

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by Ian D’Agata

Tutto quello che c’è da sapere sulle uve e sui vini autoctoni italiani è stato detto durante la recente Grand Opening Masterclass organizzata a Guangzhou (Cina) in occasione di Wine to Asia (una delle principali fiere del vino nel Paese). La degustazione guidata da Ian D’Agata, redattore capo di TerroirSense Wine Review e storico collaboratore di Vinitaly nonche’ curatore di MicroMegaWines, il nuovo spazio tematico lanciato a verona durante il Vinitaly di quest’anno, ha battuto tutti i record storici di presenze e interesse: oltre 300 persone hanno richiesto di poter partecipare alla sua degustazione guidata dedicata ai diversi vitigni autoctoni e vini italiani. E nonostante la sua modestia, non possono esserci dubbi che D’Agata – dopo una vita dedicata al tema dei vitigni autoctoni d’Italia e universalmente riconosciuto come l’esperto in materia, avendo scritto tre libri pluripremiati sui vitigni autoctoni d’Italia, sui vini e sui loro terroir – probabilmente ha contribuito a focalizzare l’attenzione sulla masterclass e ad aumentare la voglia di parteciparvi. Ma il fatto resta che la qualità delle uve autoctone italiane e dei vini ottenuti da esse non è mai stata a tutti così chiara come lo è oggi. In questo editoriale esclusivo, Ian discute i dodici vini e i vitigni che sono stati i protagonisti di questa masterclass e il suo notevole successo.

Con oltre 540 vitigni autoctoni ufficialmente riconosciuti (più o meno, secondo l’ultima indagine), l’Italia vanta una biodiversità di uve da vino senza paragone in qualsiasi altro Paese. Ancor più importante, gran parte di queste uve viene effettivamente utilizzata per produrre vini in quantità commercialmente rilevanti che offrono davvero opportunità di consumo e di degustazione sia per i wine lovers sia per i professionisti. In altre parole, a differenza di altri Paesi che ora sono saltati sul carro delle loro uve autoctone, e pubblicizzando a destra e a sinistra la quantità delle loro varietà, in Italia i vitigni autoctoni vanno ben oltre il semplice fatto di fornire dati statistici relativi alle vigne e ai vini di un paese.

Il fatto sta che l’Italia è carica di una pletora di vini che offrono una panoplia apparentemente interminabile di colori, aromi e sapori che semplicemente non sono disponibili da nessun’altra parte del mondo. Ciò deriva dal fatto che gli innumerevoli vitigni unici e autoctoni italiani essenzialmente non crescono da nessun’altra parte (anche se alcune di varietà sono diventate così famose che ora le aziende vinicole di tutto il mondo ci stanno provando a coltivarle). È ormai palesemente evidente anche per il più occasionale consumatore di vino che quando si tratta di diversità del vino, il nostro mondo è diventato standardizzato per colpa delle onnipresenti vigne di Cabernet Sauvignon e Chardonnay e dei relativi vini. E nonostante la linea generale condivisa da molti, quelle due uve non sono migliori di qualsiasi altra varietà e quindi le uniche varietà da vino che valga la pena piantare. In verità, ci sono meno vini quasi imbevibili che io e la maggior parte delle persone abbiamo assaggiato nella vita con queste due uve sopravvalutate. Sapete benissimo di cosa sto parlando, perché abbiamo tutti sorseggiato vini Cabernet aspri e vegetali davvero imbevibili e vini Chardonnay neutri insipidi di nessun interesse – memorabili solo per quanto fossero pessimi. Ciò non toglie che il Cabernet Sauvignon coltivato a Napa e Bordeaux è tutt’un’altra cosa, e che lo Chardonnay di Borgogna non ha rivali: ma pressoché ovunque, ci sono numerose altre opzioni vinicole tra cui scegliere, che di solito sono di interesse e piacevolezza simile o addirittura superiore a un qualsiasi vino ottenuto con Cabernet o Chardonnay. La lista dei vini da prendere in considerazione è praticamente infinita, tra cui Pinot Nero e Pinot Grigio dall’Oregon; Syrah e Merlot dallo Stato di Washington; Riesling dalla British Columbia e dall’Ontario; Pinot Nero e Pinot Grigio dalla Nuova Zelanda; Semillon, Cinsault e Pinotage dal Sud Africa; Malbec e Cabernet Franc dall’Argentina; Torrontés e Carmenère dal Cile; Semillon, Shiraz e Riesling dall’Australia; Cabernet Gernischt, Marselano e Petit Manseng dalla Cina; Pinot Grigio dall’Alsazia e dall’Italia; Syrah, Viognier, Grenache e Mourvèdre da Rhone; Gewurz e Sylvaner dall’Alsazia; e Riesling tedesco, Gruner dall’Austria, il Furmint Ungherese, gli italiani Pinot Bianco dall’Alto Adige e dal Friuli Venezia Giulia, lo Schioppettino, il Malvasia, il Picolit e il Ribolla Gialla del Friuli Venezia Giulia, il Maceratino, e il Centesimino delle Marche, il Monica e il Pascale della Sardegna e così via quasi ad infinitum. E ancora e ancora e ancora. E ancora e ancora…

La Grand Opening Masterclass durante Wine to Asia, una delle principali fiere enologiche annuali in Cina, che si è tenuta di recente a settembre a Guangzhou, sottolineava fortemente questo punto. E’ stato un grande onore essere invitato a scegliere un argomento e condurre la relativa masterclass: ma nemmeno io potevo immaginare che, scegliendo il tema della biodiversità delle uve da vino e dei terroir italiani, la Masterclass si sarebbe rivelata un successo così strepitoso e clamoroso. Sono rimasto davvero stupito che oltre 300 persone si siano registrate per partecipare, un numero record mai raggiunto prima (la stessa masterclass era limitata a sessanta partecipanti con iscrizioni fino ad esaurimento dei posti). Nel corso degli ultimi dieci-quindici anni, la qualità e il valore delle varietà autoctone italiane e dei loro vini unici si sono finalmente affermati con forza a livello internazionale. Noi italiani possiamo solo esserne felici. I professionisti del vino in tutto il mondo ora prediligono e cercano tali vini, mentre potrebbero non farlo automaticamente ancora con i vini prodotti da vitigni altrettanto poco conosciuti, ma altrettanto validi di altri paesi.

La degustazione prevedeva, e quindi anche quest’articolo, vini realizzati con vitigni del calibro di Birbetto, Durella, Perricone, Pignolo e Vernaccia di Oristano, oltre a varietà più note come Aglianico, Barbera, Nebbiolo e Nero d’Avola. La degustazione ha riscontrato un enorme sostegno e successo perché i vini erano straordinariamente buoni (ho condotto innumerevoli degustazioni di questo tipo in tutto il mondo negli ultimi vent’anni e ammetto che in questa occasione ho avuto molta fortuna, in quanto ogni vino si presentava davvero bene, che non è sempre il caso a causa di variazioni tra le bottiglia, problemi di sughero e problemi relativi al viaggio e allo stoccaggio). Ma il successo della degustazione è stato anche l’esito di vini che hanno parlato nello specifico del proprio vitigno e del loro luogo d’origine. Tutto ciò è molto importante: non basta scrivere su un’etichetta “Pecorino” o “Monica”, così come non basta scrivere “Hunter Valley Semillon” o “Rangen Riesling”: i vini con simili etichetti devono quindi essere non solo buoni ma anche effettivamente avere il sapore dei vitigni Pecorino e Monica (nel caso dei primi due esempi), e delle varietà e dei luoghi specifici di origine (nel caso dei secondi due esempi). Ad esempio, la zona Rangen nell’Alsazia vanta un gran cru caratterizzato dal suolo vulcanico e i suoi vini Riesling hanno un sapore come nessun altro vino di questo tipo prodotto altrove: sono vini di Rangen, una località molto specifica, e non fanno ricordare Marlborough o Graach o Niagara-on-the-Lake o Kamptal. E i vini Semillon dalla Hunter Valley con la loro sorprendente capacità di invecchiamento sono ben diversi da qualsiasi altro vino Semillon che potremmo assaggiare. Ancora meglio, purché siano di ottima qualità, un sorso di tali vini Semillon farà immediatamente pensare alla Hunter Valley e alle sue uniche condizioni meteorologiche. La maggior parte delle volte, non ti lascerai ingannare dal pensare ai vini Bordeaux, Western Cape o dello Stato di Washington. Analogamente, i vini Pecorino e Monica non dovrebbero sembrare un qualsiasi vino Sangiovese o Cannonau o Sauvignon Blanc o Pinot Grigio privi di un’identità del loro luogo d’origine. Se e quando ciò accade, è semplicemente rovinoso, perché ci sono poche ragioni per comprare e bere vini del genere. In quel caso nefasto, perdono tutti: il produttore, il pubblico, oserei dire anche il vitigno e il vino (perché se nessuno compra vini fatti con quella varietà, finirà per essere sradicata e non si fanno più tali vini). Nell’ultima analisi, ognuno di questi vini ha una storia da raccontare, ma se la storia è confusa o sovrapponibile a quella di un qualsiasi altro vino prodotto altrove, allora la storia non interessa più a nessuno. Ne consegue che le vendite di vini di questo tipo, dopo un iniziale aumento guidato principalmente dal “fattore novità”, inevitabilmente calano e appiattiscono.

I vini discussi in questa relazione e le varietà autoctone da cui sono prodotti sono la prova che un simile risultato negativo è facilmente evitabile.

I vitigni e i vini

Nel tentativo di evidenziare quante più regioni italiane possibile (chiaramente non c’è bisogno di scrivere “regioni vinicole italiane” perché in Italia OGNI regione produce vino buono… e anche tanto!), nonché altrettanti vitigni e stili di vino, ho scelto i seguenti vitigni e vini per la Masterclass.

Durella è un vitigno veneto poco conosciuto, tipico dei Monti Lessini, la catena montuosa più meridionale delle Alpi Orientali italiane. I livelli di acidità sono estremamente elevati, è e di conseguenza Durella è ideale per la produzione di vini frizzanti e dolci: infatti, circa l’80% di tutti i vini ottenuti da Durella è di tipo spumante, con un altro 10-15% di vini classici secchi e 5-10% di vini passiti dolci da vendemmia tardiva o essiccati all’aria. Gli spumanti si chiamano Lessini Durello: come i nomi “Champagne” e “Franciacorta” sono utilizzati solo con vini spumanti, così è anche con Lessini Durello. Tuttavia, a differenza di questi due famosi vini con le “bollicine”, i vini Lessini Durello possono essere vinificati sia con il metodo in vasca sia con la fermentazione secondaria (presa di spuma) direttamente in bottiglia (il Lessini Durello Riserva, alla maniera di Champagne e Franciacorta). Lessini Durello può rimanere sui lieviti fino a sessanta mesi per i vini più complessi, anche se tutti i vini Lessini Durello sono caratterizzati da notevoli gradi di complessità e profondità. In effetti, ritengo che 24 mesi di affinamento sulle fecce siano più che sufficienti per mostrare ciò che la varietà Durella può portare alla ribalta, e mi piacciono molto quelle bollicine, trovandole subito piacevoli da bere e complessi. Nel Veneto, lo spumante di punta è il Prosecco, ma lo spumante Lessini Durello offre un’opzione di consumo completamente diversa, molto più simile allo Champagne che al Prosecco (per cui qui più lievito con un gusto tostato e minerale rispetto a succoso e fruttato). Fongaro è di gran lunga il miglior produttore dei vini Lessini Durello, ma ce ne sono molti altri che meritano attenzione per la loro innegabile classe e qualità: Casa Cecchin, Corte Moschina, Dal Cero, Dal Maso, Gianni Tessari e Sandro De Bruno sono solo alcune delle opzioni vincenti a disposizione.

Un altro vitigno autoctono italiano poco conosciuto ma di altissima qualità è il vitigno siciliano Perricone: è stata a lungo una varietà incompresa, nota principalmente per il suo ruolo nella produzione dei vini Ruby Marsala, o al massimo, come utile vino blending per il Nero d’Avola. Nel corso degli anni, si è accorto che si tratta di uno straordinario vitigno autoctono in grado di fare vini con un corpo medio, freschi e profumati di frutta rossa, con un’autentica nota di vera leggerezza e del tutto diverso da quanto il Nero d’Avola potrebbe rendere: possiamo pensare ai vini Perricone come potrebbe essere il sapore di un ideale incrocio tra Nero d’Avola, Nerello Mascalese e Frappato (con più Frappato nella miscela). Di sicuro, a differenza di quanto si pensava (quando si sapeva davvero poco a riguardo), la varietà non dà vini fortemente tannici: se ne incontriamo uno molto tannico, è perché sono stati aggiunti Cabernet Sauvignon o Syrah (solitamente) (che, fino al 15% del totale della miscela, è legale: detto questo, premetto che è i veri vini Perricone monovitigno hanno ben poco in comune con tali miscele). I migliori produttori di vini Perricone sono Caruso&Minini e Feudo Montoni; tuttavia ce ne sono altri buoni prodotti come quelli di Tasca d’Almerita e Assuli.

Birbét è una varietà il cui vero nome è Brachettone del Roero. Ma dal momento che ai produttori nella zona di Roero (dove si produce questo vino) non piacevano più di tanto il nome “ufficiale”, hanno iniziato a usare la parola Birbét, che prima era riservato al vino. Non importa: il vitigno produce in vino rosso frizzante di un dolce assolutamente delizioso che volendo, semplificando molto, si può paragonare a una versione rossa del Moscato d’Asti. Quindi, se conoscete quest’ultimo vino, e scommetto che probabilmente lo conoscete e, allora avete già un’idea di cosa vi aspetta con i vini di Birbét. Basta sostituire la pesca e i fiori d’arancio con bacche rosse e ciliegie e il gioco è fatto: stessa morbida acidità, stesso fruttato, stessa deliziosa prelibatezza da far schioccare le labbra. La tenuta Bric Cenciurio, che produce anche ottimi vini Barolo avendo la propria sede in questa famosa città del vino, è una vera star con questa varietà, ma altri produttori comprendono Angelo Negro, Luigi Rabino, Malvirà, Michele Taliano, Monchiero Carbone.

Vernaccia di Oristano è il nome sia del vino sia del vitigno, ed entrambi sono tra i più rinomati d’Italia. Vitigno autoctono della Sardegna, è utilizzato per produrre vini ossidativi tipo Sherry, che spaziano dallo stile Fino all’Amontillado e all’Oloroso: ci sono molti vini con stili diversi tra cui scegliere e, a seconda delle preferenze, ognuno soddisferà i vostri palati. Semplicemente non c’è un altro vino in Italia che si abbini meglio con piatti a base di capperi e olive verdi, e tanti altri: Provatelo con del pesce al forno, come dentice, triglia o cernia, con una salsa di Vernaccia di Oristano per credere. Contini e Silvio Carta sono migliori, o per lo meno i più famosi produttori di questo vino, ma ci sono altre degne cantine locali, anche se a dir il vero i loro vini sono assai difficili da trovare a meno che non si viva in Sardegna.

Pignolo è una delle due varietà più tanniche d’Italia e è solo di recente che i produttori abbiano finalmente imparato a sfruttare questa caratteristica. E anche questo è veramente un gran bene, in quanto questo vitigno ha degli aspetti di vera grandezza, così come anche i suoi vini: però, è fondamentale una buona cantina, dal momento che il vino non è proprio adatto da bere giovane. Come minimo, inizia a farsi valere solo dopo circa otto anni dalla vendemmia. Le aziende vinicole hanno finalmente capito e iniziano loro a fare questo lavoro per voi e – detto in parole povere – ora non rilasciano il vino prima che sia invecchiato abbastanza a lungo nelle loro cantine. Ecco perché oggi come oggi trovate i vini Pignolo nei negozi con un notevole invecchiamento in bottiglia: non è che siano vini che i produttori non riuscivano a vendere e che se ne stavano in giro a raccogliere polvere sugli scaffali nei negozi. Piuttosto, sono davvero dei vini trattenuti dai produttori in modo da metterli in commercio quando sono finalmente pronti da bere. Il Pignolo propone un inebriante mix di frutti scuri, prugna nera, prugna secca, resina di pigna ed erbe aromatiche speziate e si rivela un vero vincitore quando gli acini vengono raccolti a maturazione ottimale (altrimenti il Pignolo può competere bene col Cabernet Sauvignon per ottenere il ruolo di Mr Green nell’eventuale Reservoir Dogs di Quentin Tarantino, parte 2). I migliori vini Pignolo provengono dalla zona di Rosazzo presso i Colli Orientali nel Friuli (non a caso una parte molto calda del territorio) della denominazione, dal momento che Rosazzo è il territorio dove il vitigno è stato coltivato più a lungo, un autentico grand cru per questa varietà (e di conseguenza, i vini con la denominazione “Pignolo di Rosazzo” sono generalmente considerati i migliori, anche se ci sono molti vini Pignolo provenienti da altre zone dei Colli Orientali di Friuli e anche nel Collio stesso che sono ottimi). Vini Pignolo eccellenti sono prodotti non solo da Ermacora ma anche da Castello di Buttrio, Conti D’Attimis Maniago, Gianpaolo Colutta (il loro vino Tazzelenghe in realtà è ancora meglio), Gravner, Specogna e anche Valentino Butussi.

Restando sempre nel Friuli Venezia Giulia – ma ormai molto più famoso e abbondante di Pignolo – ci troviamo lo Schioppettino: come il Pignolo, ha un suo specifico luogo d’origine, cioè i territori dei comuni di Prepotto, Albana e Cialla nei Colli Orientali del Fruili. La denominazione “Schioppettino di Prepotto” indica i vini che provengono dal territorio di questi due comuni, mentre il vino prende il nome Schioppettino di Cialla quando proviene dalla zona più fresca di Cialla. Entrambi i vini sono eccezionali, caratterizzati da frutti da bacca scura e rossa, una nota eccezionalmente forte di grani di pepe verde (lo Schioppettino è una delle varietà da vino dell’altro mondo che vanta i più alti livelli di rotundone, molecola che ricorda l’aroma del pepe) e di vivace acidità. A differenza del più corposo Pignolo, lo Schioppettino è di corpo medio ed è uno dei vini più eleganti d’Italia. Ronchi di Cialla e Vigna Petrussa sono senza dubbio i migliori produttori di questo vino, ma ci sono numerosi altri produttori stellati tra cui Conti d’Attimis Maniago, Grillo, La Viarte,Marinig, Petrussa, Zof e altri ancora.

Il Lacrima è un vitigno proprio a forma di lacrima che tende anche a strapparsi quando gli acini sono maturi e si rompono le bucce sottili, a spiegazione del suo nome. Il territorio di produzione è sempre stato nel comune di Morro d’Alba nelle Marche (molto carina, famosa per il Camminamento della Scarpa medievale ad arco e murata che circonda il paese. Vale la pena fare una passeggiata in quanto consente una bella vista panoramica sulla campagna circostante). Il Lacrima è una rara uva rossa aromatica, quindi i suoi vini non sono dissimili da quelli prodotti con un ipotetico vitigno Moscato rosso: soprattutto, i vini prodotti con la varietà Lacrima non sono tannici, quindi se ne trovate uno, tenete presente che (molto probabilmente) hanno aggiunto il Montepulciano, proprio per dare una maggiore struttura. Marotti Campi è di gran lunga il miglior produttore di questo vino, anche se esistono anche altre tenute molto valide, tra cui Filodivino, Luciano Landi, Mancinelli e Vicari. Molti vini etichettati sono effettivamente prodotti da Marotti Campi, che produce circa il 70% di tutto il vino Lacrima, e anche questo va bene vista la loro qualità. Aglianico, Barbera, Nebbiolo e Nero d’Avola sono alcuni dei vitigni più conosciuti d’Italia, così come l’Amarone della Valpolicella
, che è uno dei vini più famosi del paese. Quindi ne parlerò nei prossimi articoli di approfondimento esaurienti sulle recenti e nuove versioni dei relativi vini.
I vini trattati in questa relazione sono stati degustati il 24 settembre 2022 presso la fiera del Vino a Guangzhou (Cina) durante la Grand Opening Masterclass della Wine to Asia Special Edition organizzata da Wine to Asia con il supporto dell’Italian Trade Commission (ICE). Erano presente anche il Sig. Valerio De Parolis, Console Generale d’Italia a Guangzhou, e il Sig. Massimiliano Tremiterra, direttore di ICE-Italian Trade Commission a Guangzhou.

I vini discussi in questa relazione

Elena Fucci 2015 Aglianico del Vulture 97
Un rosso luminoso medio-scuro. Il naso molto importante comprende bacche rosse, ciliegia rossa, minerali, pepe bianco, tabacco e sottobosco tartufato. Il primo impatto è molto garbato, poi subentrano sapori ricchi e maturi di frutti rossi e tabacco con un sottofondo minerale molto evidente. L’impressionante volume del vino è piacevolmente smorzato dal vivace taglio minerale e dal profumo sul palato. Il finale molto lungo, con tannini espliciti ma fini. Un vino rosso molto raffinato e sofisticato che invecchierà splendidamente. Questo mi colpisce come una delle ultime annate di maggior successo del Titolo, un vino quasi sempre tra i primi trenta rossi d’Italia ad ogni annata. Intervallo di consumo: 2023-2036.

Speri Amarone della Valpolicella 2015 95
Rosso rubino intenso. Aromi profumati di mirtillo, fragola, cioccolato amaro, liquirizia e vaniglia sono arricchiti da note di sottobosco e spezie marroni dolci: in questa bottiglia, però, non trovo nessuna delle note muschiate-vegetali che avevo trovato in una bottiglia precedente assaggiata qualche mese fa. Molto garbato e succulento ma fresco, con molti aromi dolci di mora, amarene rosse e nere e sottobosco legnoso. Vanta un equilibrio impeccabile per una sensazione in bocca molto levigata con un finale lungo e liscio. Ancora meglio della bottiglia che ho recensito nella relazione “domande e risposte” su Speri pubblicata nella sezione Producer Insight di TerroirSense Wine Review appena il mese scorso. Intervallo di consumo: 2025-2034.

Silvio Carta NV Vernaccia di Oristano 95
Si nota un colore luminoso arancione-ambrato. Aromi netti, molto precisi e concentrati di scorza d’arancia, miele, marzapane, camomilla, caramello e mandorla fresca. Concentrato e dolcemente speziato, con intensi sapori di mandorle, caramello e miele. Notevolmente denso ma anche sapido, con un impeccabile equilibrio in fondo alla bocca molto lungo ed energico. Semplicemente splendido: questo è la migliore Vernaccia di Oristano messo in bottiglia da Silvio Carta che ho assaggiato da tempo. Intervallo di consumo: 2022-2045.

Fongaro NV Lessini Durello Brut 94
Giallo-verde medio brillante. Gli aromi molto profondi e complessi di mela gialla, pera, noci grigliate, limone, pesca e pietra focaia sono esaltati da erbe tipo menta e floreali. Rotondo, maturo e assai secco, con aromi altrettanto complessi di agrumi sia freschi che canditi, erba, pepe bianco, minerali, menta e fiori bianchi. Chiusura ampia, densa e ricca, con note di liquirizia e noce moscata con una netta impressione di potenza. Un Lessini Durello piuttosto articolato di notevole complessità e fascino, ed uno dei migliori vini Lessini Durello vini che ho assaggiato di recente. Un vero colpo di scena. Era anche il secondo vino preferito di tutti i presenti alla masterclass. Intervallo di consumo: 2022-2032.

Parusso Barolo Mariondino 2015 94
Rosso brillante e tenue con una forte componente granata. Profumi penetranti e fragranti di amarena, scorza d’arancia, minerali e spezie dolci, insieme a una nota di chinino. Molto puro e preciso, con un cuore vivace di spezie dolci che conferiscono a questo delizioso Barolo dei sapori pungenti, sexy e, in particolare, di frutta rossa con un impatto e una complessità maggiori. Un Barolo irresistibile con un finale lungo e morbidamente tannico, con profumo persistente. Inoltre, era il vino preferito dai partecipanti alla degustazione. Intervallo di consumo: 2022-2032.

Vigna Petrussa 2018 Schioppettino di Prepotto 94
Ottimo rosso rubino pieno. Accattivanti aromi di lampone, gelatina di fragole, coulis di more, noce moscata, cannella e grani di pepe verde. Al tempo stesso, è concentrato e ampio, con aromi di frutta rossa garbata ma intensi con spezie dolci e una notevole e gradevole leggerezza. Vanta un sapore delizioso simile al Pinot Noir e un sottofondo di complessità minerale. La chiusura è generosamente matura e senza soluzione di continuità. Uno Schioppettino grandissimo di cui ti ritroverai a finire la bottiglia in un tempo vergognosamente veloce, in quanto assolutamente irresistibile. Intervallo di consumo: 2022-2030.

Braida Barbera d’Asti Bricco dell’Uccellone 2015 94
Rosso intenso con riflessi color rubino. Aromi di amarena, prugna, fumo, pepe, violetta e terra emergono dopo aerazione con un naso complesso e profondo. Quest’annata non è particolarmente fruttata, comunque è denso e vibrante con sottili note di spezie ed erbe aromatiche che completano il ricco frutto scuro da sottofondo all’iniziale impatto di quercia e di erbe. La struttura è molto solida ma nobilmente tannica, con un finale lungo, austero e classico. Una grande Barbera d’Asti che meriterebbe qualche anno in più in cantina; ha una struttura più simile al Cabernet o al Barolo della maggior parte dei vini Barbera in circolazione. Il Bricco dell’Uccellone è il vino Barbera di riferimento d’Italia, e sicuramente della denominazione Barbera d’Asti, ma in questa annata, anche se molto impressionante, è notevolmente arretrato e spero solo che il frutto sopravvivrà al tannino. Ottimo davvero. Intervallo di consumo: 2026-2032.

Donnafugata 2015 Milleunanotte Contessa Entellina 94
Ottimo colore viola-rubino. Aromi complessi, profondi e sotto-sotto ancora cupi di mora, prugna nera, pepe nero spezzato, carne affumicata, violetta, oli balsamici e sottobosco. Dolce, morbido e lussureggiante, ma con una struttura tannica imponente e liscia che conferisce ai sapori delicatamente legnoso e di frutta scura matura con aromi di fumo di questo vino un’importante struttura portante. La chiusura è piacevolmente persistente, giovane e quasi masticabile. Conserva questo in cantina per altri cinque anni e poi per dieci. Intervallo di consumo: 2027-2035.

Casalfarneto Lacrima di Morro d’Alba Rosae 2020 93
Ottimo colore rosso-rubino. Aromi floreali pungenti di ciliegia amarena, lavanda, petali di rosa, chinino, pepe e mentolo. Al tempo stesso, ampio con sapori garbati di ciliegia scura, menta e spezie, il tutto strutturato con una punta di acidità e sollevato da un brillante profumo sul palato. Un vino Lacrima morbido e vibrante che chiude ampio e maturo ma con una buona
struttura portante. Intervallo di consumo: 2022-2026.

Ermacora Pignolo Colli Orientali Friuli 2015 93
Viola-rubino molto intenso. Amarena, mirtillo e violetta per un naso pulito e vivace. Poi succoso e sodo, con una spinta e una concentrazione formidabili sui suoi sapori di frutta blu e nera. Non particolarmente carnoso o complesso, ma con una concentrazione innegabile per i suoi sapori penetranti simili agli aromi. Ancora giovanissimo, questo vino Pignolo succoso ma decisamente tannico sembra essere costruito per invecchiare. Intervallo di consumo: 2024-2034.

Bric Cenciurio Birbet 2018 92
Color rosso brillante con un filo morbido di piccole bollicine. Aromi super maturi di fragola, lampone e cannella: non dissimile da un cocktail di frutti rossi con alcol (inferiore al 6%). Denso, garbato e ben fatto, con sapori dolci di frutta a guscio e bacche rosse, complicati da scorza d’arancia esotica, spezie dolci e un suggerimento di miele d’acacia. Rivela una bella componente floreale sul finale lungo e profumato. Non proprio il massimo in termini di complessità, tuttavia è così divertente da bere che chiunque ami il Moscato d’Asti amerà anche questo vino. Da provare con torta di ciliegie, cocktail di frutti rossi o mousse al cioccolato. Intervallo di consumo: 2022-2023.

Caruso&Minini Perricone Terre Siciliane 2020 92
Rosso medio con ampie sfumature granata. Sapido, molto ben maturo con aromi e sapori veramente morbidi e vistosi di lampone, fragola, liquirizia, cola e spezie. Ampio e gentile ma classicamente asciutto, con un bel profumo sul palato e dolcezza di frutti a bacca rossa e ciliegia rossa integrati da un delizioso elemento floreale. Questo Perricone ha uno stile piuttosto borgognone e chiude con tannini dolci e ottima persistenza aromatica che invita a berlo subito. Intervallo di consumo: 2022-2024.

Fonte: Vinitaly Plus